La SECONDA Virtù
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  • Immagine del redattoreKungfu & Taichi

La SECONDA Virtù

Aggiornamento: 30 gen 2023

Tradizionalmente pronunciate all’interno del “saluto”, svolto all’apertura e alla chiusura di ogni allenamento, le cinque virtù rappresentano uno stato d’animo che serve da spunto per migliorare sé stessi.

Delle virtù discusse nel post “Le Cinque Virtù”, la seconda è la Compassione. Ma cosa significa “essere compassionevoli”, o meglio, “ambire a essere compassionevoli”?

Abbiamo visto che la visione delle virtù è meditativa e soggettiva. Se vogliamo, però, dare un'interpretazione generale al loro significato, è necessario gettare delle basi per comprenderle.



Nel Buddhismo questa virtù viene indicata con i due termini sanscriti:

Karuṇā, nel significato di "compassione", "pietà", "misericordia", "empatia".

Maitrī, nel significato di "amore", "benevolenza", "carità".


Essenzialmente, è la capacità delle persone di entrare in contatto con gli altri, di connettersi.


La nostra capacità di provare compassione, di entrare in contatto con l’altro, di vivere nella sua vita, nasce nei primi istanti della nostra esistenza.

Le nostre competenze relazionali e la nostra capacita di essere e stare in relazione si sviluppano, infatti, attraverso il legame che si stabilisce con la nostra figura di riferimento fin da appena nati, di solito identificabile con la madre.


Questo legame sviluppa diversi modelli di strutture mentali legate alla capacita di ampliare la nostra compassione; un eccessivo distacco emotivo potrebbe, ad esempio, causare difficoltà nel "sentire il dolore dell’altro".

Sentire il dolore dell'altro significherebbe che siamo stati in grado di esplorare e di risolvere il nostro dolore personale.


“Leggere dentro sé stessi è la sola chiave per comprendere l’intero universo e per avere compassione.”

La compassione è strettamente legata alla consapevolezza e alla capacità di ascoltare noi stessi.

Più sono consapevole di me stesso e degli altri, più sarò in grado di provare sentimenti positivi, come quello della compassione, e di riconoscere negli altri il dolore e le esperienze vissute in prima persona. Questo è il segno distintivo di una coscienza che si sta espandendo e che sta acquisendo una visione sempre più ampia.



Come si espande la propria coscienza?


Esistono, principalmente, tre livelli di coscienza che ciascuno di noi è in grado di raggiungere, in questo caso, per ambire alla compassione:


  • IMMERSIONE INCONSAPEVOLE

Le persone che si trovano in questo stato di coscienza, semplicemente, non vedono le ragioni altrui e non riescono a comprendere il punto di vista degli altri. Ne consegue che, lo scontro con la realtà è, in genere, un passaggio tipico di questa fase.


  • EMERSIONE CONSAPEVOLE

In questo stato di coscienza si comincia, gradualmente, a raggiungere la consapevolezza, iniziando a non dare più per scontati il proprio punto di vista o la propria visione del mondo. Ci si pone, dunque, di fronte a diversi modi di interpretare le realtà degli altri. In questa fase non entrano solo in gioco i sentimenti di empatia e compassione, ma anche l’autocompassione.


  • PIENEZZA DELLA CONSAPEVOLEZZA MENTALE

In questo stato di coscienza il giudizio è assente e noi siamo semplici osservatori, consapevoli della realtà. In questo modo si generano emozioni positive, la qualità della vita migliora e noi riusciamo a raggiungere un buon livello personale di compassione.



A prescindere dal nostro livello di partenza, riuscire nel percorso di emersione per raggiungere una piena consapevolezza non è certo facile, ma esistono determinati stili di vita che ci possono aiutare a farlo.

Il "distacco" dalla soggettività è sicuramente uno di questi, specialmente se associato a pratiche meditative che inducano alla “riflessione di sé”.



"Le pratiche meditative aiutano a sviluppare emozioni positive e, in generale, a migliorare la vita, donando benefici effetti all’individuo".

La pratica costante della meditazione - anche quella legata alle Arti Marziali -, se protratta nel tempo, può portare a quelli che la psicologia definisce “tratti stabili di personalità”. In particolare, la meditazione ci aiuta ad accrescere la compassione e ci dona una maggiore predisposizione verso gli altri, oltre a dare più calma e serenità. Questi cambiamenti non sono passeggeri, ma stabili.



“Praticando, le persone migliorano”.

La pratica meditativa può condurre alla disattivazione di quelle aree del cervello che ci portano a identificarci come “io isolato dagli altri”: infatti, meditando sui concetti di “spiritualità” e “immaterialità”, apparentemente, il cervello cambia. La meditazione aiuta ad ampliare la percezione dell’io e a sentirci sempre più connessi con il resto del mondo, con la natura e con gli altri. Giorno dopo giorno, ci allena a divenire esperti di noi stessi, dei nostri processi interiori e di ciò che accade durante la nostra vita, spesso troppo frenetica e limitante. Crescerà la consapevolezza di ciò che ci nutre e ciò che ci intossica; questa consapevolezza ci aiuterà a entrare in contatto con quelle parti di noi stessi che ci mettono più in "crisi" e che, silenziosamente, continuano a condizionare la nostra vita. In questo modo ci riappropriamo del nostro dolore, per riconsiderarlo e rielaborarlo.


Così facendo, apriamo anche la strada alle arte virtù, come per esempio la saggezza di cui abbiamo parlato nel precedente articolo, e a quelle che tratteremo nei prossimi post.

Chi rimane sempre in superficie nella vita, senza mai riuscire ad andare in profondità ha, in genere, molta paura di affrontare ciò che si muove nella propria psiche. Ricordi di sofferenza, paure profonde, traumi, esperienze di solitudine e trascuratezza non rielaborati portano le persone a evitare continuamente il dolore, in sé stessi e negli altri.


Meditare e praticare un'Arte Marziale sono fattori molto importanti che possono fare la differenza, perché stimolano il processo di autocoscienza, fortificando così il carattere dell'individuo e facendo maturare la volontà di risolvere i propri conflitti interiori.


Chi ha fatto pace con quella “parte oscura di sé stesso”, non ha più bisogno di giudicare, di allontanarsi mentalmente da ciò che in realtà teme, poiché riesce a vedere "l’altro come uno specchio di sè stesso" e, per questo motivo, inizia a provare sentimenti di compassione e di empatia.



Superare il giudizio di sé e imparare a esplorare le parti di noi che temiamo ci porta naturalmente ad aprirci al mondo e, sempre più, a provare sentimenti ed emozioni profonde di connessione e unione.



“La compassione è la virtù di desiderare il bene di ogni essere e di connettersi, ascoltando sé stessi e gli altri.”


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